Antica civiltà ebraica

In almeno un ramo dei loro discendenti vivono ancora i popoli semiti di Babilonia. L’antica Babilonia è scomparsa e la sua terra è diventata un deserto, abitata da un popolo debole che ha poca o nessuna parentela con la potente razza dei primi costruttori di imperi della terra. Ma gli ebrei di oggi sono l’albero vivente che è germogliato da quella meravigliosa radice della cultura, del carattere e della religione babilonese.
Agli ebrei il nostro mondo moderno è debitore del germe del suo pensiero religioso, la realizzazione dell’unico potere onnipotente che avvolge l’universo, “l’onnisciente e anche l’onnipotente”. Questo pensiero, anche se non nella sua piena chiarezza, gli ebrei portarono con loro nella loro partenza da Babilonia. Essi portarono anche l’astuzia babilonese nel commercio e l’acutezza nelle cifre, e, come eredità meno preziosa, un’inclinazione istintiva verso il rito impuro di Ishtar, la dea della natura, o dell’amore, dell’antica Estate.
Abramo, il fondatore della razza ebraica, era un semita, che abitava, come ci dice la Bibbia, nella città di “Ur dei Caldei”. Questo può significare o la grande città sumera di Ur, o un particolare sobborgo di Babilonia che aveva lo stesso nome. In quest’ultimo caso, che è quello che la ricerca recente rende più probabile, gli occhi di Abramo e quelli dei suoi parenti si posarono spesso e familiarmente sui luoghi della grande metropoli ai tempi di Sumu-abi e dei primi potenti re semiti. In mezzo a questo ambiente, venne al patriarca l’impulso, dato da Dio come tutti gli alti impulsi, di lasciare la civiltà oppressiva per una vita più libera e più pura.
Non sappiamo sotto quale influenza materiale Abramo si mise a vagare; ma la sua migrazione corrisponde strettamente al tempo dell’invasione elamita tremendamente distruttiva di Babilonia da parte di Kudur-nankhundi. Quelle orde devastanti di Elamiti devono aver spinto fuori molte famiglie babilonesi desolate in cerca di una dimora più tranquilla. L’influenza della devastazione sarebbe stata particolarmente forte con le tribù nomadi, come quella di Abramo. Queste, raccogliendo i frammenti salvati dei loro greggi e delle loro mandrie, vagarono in avanti fino a quando poterono trovare riposo in pascoli meno pericolosi. La tribù di Abramo viaggiò prima ad Haran, che era probabilmente la città di quel nome vicino all’alto Eufrate, e poi Abramo condusse il suo particolare seguito in Canaan, che noi conosciamo come Palestina. Egli trovò questa terra molto affascinante per i suoi gusti, perfettamente adatta alla sua famiglia pastorale. Era scarsamente abitata, fertile con molti prati e con un clima piacevole. Qui, quando seppe che le forze elamite erano di nuovo a portata di mano, che lo perseguitavano anche in questo regno lontano, si rivolse contro di loro improvvisamente e ferocemente, come sappiamo, e sconfisse l’esercito di Chedorlaomer. O, se non siamo giustificati nel definire quell’improvviso attacco notturno una sconfitta, il patriarca almeno strappò agli invasori quelle porzioni dei loro prigionieri e del loro bottino che lo riguardavano in modo particolare.

Il nome “ebreo” significa gente “dell’altra riva del fiume”, cioè dell’Eufrate; e può ben essere che la tribù di Abramo fosse solo una piccola parte dei molti semiti dell’Eufrate che andarono alla deriva in Canaan. È certo che “ebreo” nel suo significato più ampio fu applicato non solo agli israeliti ma a molti dei loro immediati vicini, i moabiti, gli ammoniti e altri. A quanto pare, inoltre, fu solo dopo alcuni secoli che i discendenti speciali di Abramo, gli Israeliti, si separarono completamente da queste tribù affini e in un periodo di carestia intrapresero quell’ulteriore migrazione che li portò in Egitto.
In Egitto furono accolti dagli Hyksos, o “Re Pastore”, invasori asiatici come loro, forse della loro stessa stirpe, che avevano conquistato la terra del Nilo. Sotto questi Hyksos, l’israelita Giuseppe divenne il capo del regno, il vice del re. Generazioni più tardi, quando gli Hyksos furono espulsi da una rivolta dei nativi egiziani, i discendenti di Israele sprofondarono fino ad essere poco meglio degli schiavi; e quindi, sotto il loro meraviglioso capo e profeta Mosè, lasciarono l’Egitto per cercare ancora una volta una terra di libertà e di pace.
Non abbiamo modo di fissare date precise a queste peregrinazioni di Abramo e dei suoi discendenti. Se facciamo coincidere la prima migrazione da Ur con la conquista degli Elamiti, il tempo sarebbe circa il 2285 a.C. Il periodo di governo di Giuseppe in Egitto deve essere stato non lontano dall’anno 1720 a.C.; e l’esodo sotto Mosè potrebbe essere avvenuto circa il 1300 a.C.
Per i quarant’anni successivi, gli esuli condussero una vita nomade, come avevano fatto i loro padri in passato. Pascolavano le loro scarse greggi sull’erba del Sinai, una terra arida, ma non così desolata come la precedente dimora dei loro antenati semiti in Arabia. Infine, sentendosi abbastanza forti, i vagabondi avanzarono verso nord in Palestina. Non lo trovarono più il paese scarsamente popolato che era stato ai tempi di Abramo. Sotto Giosuè combatterono battaglia dopo battaglia contro le città cananee prima di diventare padroni della terra. In effetti non ne conquistarono mai il completo possesso.
Durante tutte le loro peregrinazioni gli israeliti erano stati semplici tribù, ma gradualmente le loro esperienze in Palestina li modellarono in una nazione compatta, nettamente separata dagli altri semiti. Essi divennero, infatti, la razza più chiaramente differenziata e apparentemente la più duratura nel tipo tra tutte le nazioni del mondo. Questa sorprendente persistenza e potenza della razza, che ha così spesso suscitato il commento dello storico, sembra aver avuto la sua origine in due fonti. La prima era la loro religione. Come gli assiri e la maggior parte degli altri semiti, essi si consideravano come il popolo eletto del loro dio. Quando, oltre a questo, arrivarono a pensare al loro come l’unico vero Dio, onnipotente sulle altre razze di uomini, allora naturalmente gli israeliti acquisirono non solo una tremenda fiducia in se stessi, ma anche un disprezzo di tutti i popoli meno favoriti, un disprezzo che li rese ansiosi di abitare in disparte. L’altra fonte della loro forza razziale era la legge morale stabilita da Mosè, che proibiva loro di sposarsi con i Cananei tra i quali si erano stabiliti. Così, rifiutando costantemente di mescolarsi con altre razze, divennero sempre più un popolo tipico e omogeneo.

La loro nazione non raggiunse l’importanza politica fino all’anno 1000 a.C. circa, ai tempi del loro grande capo Davide. Nell’infanzia di Davide, gli israeliti erano solo uno dei tre o più popoli separati che abitavano la Palestina. Erano la gente di campagna, ancora pastorale, contando le loro ricchezze in greggi e mandrie, e decisamente soggetti ai Filistei, un popolo semitico come loro, che abitava in città murate lungo la costa della Palestina. Gli israeliti erano ancora legati tra loro solo dal senso di una parentela e di una religione comune. Avevano capi sacerdoti e profeti, ma nessun governo organizzato. Poi Saul, un uomo robusto e un grande combattente, guidò una ribellione contro i Filistei. Avendo temporaneamente successo, si eresse a primo re d’Israele. Stabilì una capitale e organizzò un governo. Quando Saul fu infine sconfitto e ucciso dai Filistei, il suo posto fu preso da suo genero Davide.
Davide era stato esiliato da Saul perché sospettato di tramare per impadronirsi del trono. In questo esilio, Davide si era messo a capo di una banda di briganti; aveva anche preso servizio sotto i Filistei. Ora, però, li abbandonò per guidare il suo popolo. All’inizio era solo re di Giuda, la sua tribù natale tra gli israeliti; e solo dopo una sanguinosa guerra civile le altre tribù accettarono il suo governo. Ci fu quindi, fin dall’inizio della loro vita nazionale, una divisione tra gli israeliti. Giuda, come tribù principale, da cui nacque il re Davide e i suoi successori, assunse una superiorità. Gradualmente si separò sempre più dalla massa delle altre tribù, alle quali venne applicato il nome di Israele come distinto da quello di Giuda.
Come re della nazione unita, Davide sconfisse i Filistei. Poi prese d’assalto Gerusalemme, la principale città fortificata delle montagne, che era ancora in possesso dei suoi abitanti originari, i Gebusei. Avendo fatto Gerusalemme la sua capitale, Davide si imbarcò in una cura di conquista sulle nazioni esterne. La sua principale vittoria fu quella di Helam, dove sconfisse le forze confederate della Siria, probabilmente gli Ittiti. Egli estese il suo dominio, anche se senza dubbio in modo debole e vago, dai confini dell’Egitto, su tutta la Palestina e la Siria, e fino a est della valle dell’Eufrate. Per un momento Israele, nell’improvviso riconoscimento della sua forza, promise di diventare la potenza mondiale che avrebbe dovuto soppiantare l’antica Babilonia e la temporaneamente esaurita Assiria.
Questo regno, che Saul aveva fondato e Davide aveva reso forte, raggiunse lo zenit della sua potenza sotto il figlio di Davide, Salomone, il cui regno di quarant’anni fu particolarmente tranquillo per quei giorni turbolenti, in cui le nazioni sovraffollate si trovavano in guerra costante. La pace del nuovo re era la ricompensa della reputazione che suo padre aveva conquistato. I faraoni d’Egitto, saliti ormai all’apice del loro splendore, trattarono Salomone apparentemente da pari a pari, cosa che, nella sicurezza della loro posizione isolata, avevano rifiutato di fare con qualsiasi monarca asiatico precedente. Una principessa egiziana fu inviata a Gerusalemme come sposa di Salomone. In effetti si può immaginare un astuto commerciante babilonese di quel tempo che, viaggiando di terra in terra, faceva il conto dei quattro principali regni del mondo nell’ordine della loro debolezza, come segue: Il più basso dei quattro, gli Ittiti, troppo disuniti per avere qualche possibilità di impero; accanto a questi, gli Assiri, indeboliti da guerre locali e che stavano rapidamente perdendo la loro antica forza; terzo, l’Egitto, potente ma troppo lontano per essere in grado di esercitare il suo potere in Asia; e quarto e più alto, Israele, un popolo unito, numeroso, vittorioso, forte e desideroso di guerra.

Questi furono i giorni dell’abbellimento e dello splendore di Gerusalemme. Salomone si costruì palazzi, acquedotti e ponti imponenti e, principale delle sue costruzioni, il suo celebre tempio. Questo fu eretto sulla collina più alta della grande città di montagna, la cima della collina fu livellata e i suoi bordi sollevati da enormi sottostrutture, che rimangono ancora oggi. Il tempio era rinomato per la sua ricchezza piuttosto che per le sue dimensioni, anche se un rapporto rappresenta la sua torre principale che si innalza di 210 piedi sopra il cortile del tempio. Due pilastri, celebri per la loro bellezza, si ergevano davanti alla porta, e all’interno c’era il “Santo dei Santi”, il santuario più sacro di tutti. Questa era una camera vuota in cui si credeva che Dio stesso rendesse manifesta la sua presenza al più devoto dei suoi seguaci.
I giorni di gloria mondana della nazione furono, tuttavia, di breve durata. Salomone fu succeduto da suo figlio Rehoboam; e il nuovo re dimenticò che il suo bisnonno Saul era stato, solo poco tempo prima, uno dei contadini comuni, scelto dai suoi compagni per difenderli contro l’oppressione. Rehoboam si credette il padrone del suo popolo e cercò di governare con la stessa alterigia e la stessa brutalità schiacciante dei re-mostri assiri. Il risultato fu una ribellione. Le altre tribù si staccarono dal giogo di Giuda e crearono un proprio stato con capitale a Samaria. Questo fu conosciuto d’ora in poi come il Regno d’Israele, in contraddizione con quello di Giuda. Tra i due stati fratelli seguì una guerra costante; e da quel momento in poi ognuno di essi ha consumato la linfa vitale dell’altro. Come l’Assiria e Babilonia, si allontanarono da nemici più deboli e, in lotte fratricide, esaurirono il potere dell’altro. Così tutti i sogni di impero che illuminavano i giorni di Davide e Salomone furono vanificati.
L’impero degli ebrei non doveva essere di questo mondo. Oggi sono un popolo senza patria, una nazione senza stato. Ma essi furono lenti a realizzare il loro destino, lenti a riconoscere la loro peculiare forza o a riconoscere la loro peculiare debolezza. Hanno combattuto furiosamente per il loro piccolo angolo di terra. Inoltre, abbandonarono l’unità religiosa che li aveva resi forti. Persino il re Salomone aveva “rivolto il suo cuore verso altri dei”. L’antico culto babilonese di Ishtar fu riportato in vita. Ishtar, o come la chiamavano i greci, Astrate, era la dea dell’amore e di tutte le forze riproduttrici della natura. Le furono eretti templi sulle cime delle colline e fu adorata con riti impuri. Le tribù settentrionali d’Israele si staccarono completamente dall’obbedienza al loro antico Dio, il nostro biblico “Geova”, il cui culto era troppo strettamente associato con Gerusalemme e Giuda per piacere ai ribelli del nord. Anche in Giuda ci fu divisione religiosa, e lo splendido tempio di Salomone arrivò a racchiudere nei suoi sacri recinti i santuari di molti idoli.

Poi seguì la caduta politica. Il re Shishak d’Egitto attaccò Gerusalemme ai tempi di Rehoboam, figlio di Salomone, e portò via tutte le ricchezze del tempio. Seguirono giorni ancora più cupi, durante i quali un conquistatore assiro dopo l’altro schiacciò sotto il suo tacco selvaggio gli ebrei irrimediabilmente divisi. Tiglathpileser III, o Pul, che stabilì il secondo periodo di potere dell’Assiria, dominò la Siria e la Palestina. Il re di Giuda, Ahaz, confederò con lui, o addirittura, come ci dice la Bibbia, lo pregò di entrare nella terra per proteggere Giuda da Israele e da altri nemici. Così Giuda sfuggì alle devastazioni di Pul; ma Israele lo combatté e fu sconfitto in modo schiacciante. Una gran parte, probabilmente la maggior parte degli israeliti del nord che sopravvissero, furono portati via da Pul verso il 740 a.C. e colonizzati in Assiria. Lì, nella distruzione che più tardi colpì quella terra infelice, essi scomparvero completamente.
Un decennio dopo Israele era di nuovo in armi contro un tiranno assiro, Shalmaneser IV. Egli assediò la capitale d’Israele, Samaria, per diversi anni prima che essa cadesse, non a lui ma al suo successore, quell’avventuriero che si pose sul trono d’Assiria e si chiamò Sargon II. Questo capo completò la distruzione di Israele, che Pul, il precedente conquistatore, aveva iniziato. Nell’anno 721 a.C. Sargon espulse l’ultimo residuo esausto degli Ebrei del nord dal loro regno, e li fece marciare attraverso tutta l’estenuante larghezza del suo ampio impero fino alla sua altra estremità, la lontana terra orientale di Media. Ogni traccia di questi gruppi di esuli è scomparsa così completamente che oggi si parla di loro come delle dieci tribù perdute di Israele. Delle dodici tribù che avevano seguito Mosè fuori dall’Egitto, solo due, quella di Giuda e la piccola tribù alleata di Beniamino, rimasero in Palestina.
Né il regno di Giuda sopravvisse a lungo a quello di Israele. Ezechia, re di Giuda, si ribellò a Sennacherib, figlio e successore di Sargon, e cercò la protezione dell’Egitto, principale rivale dell’Assiria. Della strana distruzione dell’esercito di Sennacherib davanti a Gerusalemme, sappiamo da molte tradizioni diverse. L’evento sorprendente si impresse profondamente nel mondo antico. Allo storico greco Erodoto, quando visitò l’Egitto, fu mostrata la statua di un re egiziano che teneva in mano un topo, e gli fu detto che quando l’esercito di Sennacherib intendeva attaccare l’Egitto, il dio Ptah mandò miriadi di roditori nel campo assiro. Questi rosicchiarono ogni corda d’arco e tutte le corde per legare le armature e gli scudi. L’esercito assiro, disarmato e impotente, fuggì in preda al panico e molti furono uccisi. Perciò gli Egiziani attribuirono la caduta di Sennacherib alla pietà del loro re, alla grandezza del loro dio Ptah e ai denti dei suoi ratti. Ma questo piccolo animale era il simbolo, nell’antico Egitto, proprio di ciò che la nostra scienza moderna ci ha insegnato che ora simboleggia principalmente: la peste. Quindi questa storia sembra indicare, come quella della Bibbia, la distruzione delle forze di Sennacherib a causa di un’improvvisa pestilenza, un’orribile visita come quella che i nostri giorni hanno visto di nuovo assistere agli eserciti dell’est riuniti in modo avventato e strettamente coordinati.

La fuga di Ezechia prolungò l’indipendenza di Giuda solo per poco tempo. Il successivo re assiro fu il grande conquistatore Esarhaddon. Egli ridusse tutta la Palestina, e persino l’Egitto stesso, alla posizione di province sottomesse all’interno del suo impero. Il re di Giuda, Manasse, fu fatto prigioniero, portato al cospetto di Esarhaddon in catene, e in seguito restaurato sul suo trono come un re vassallo dipendente.
Nei giorni terribili che seguirono Esarhaddon, quando quelle selvagge tribù barbare del nord sconosciuto stavano devastando la Palestina così come l’Assiria, quando Ninive e Babilonia erano alle strette, e Ninive fu finalmente rovesciata, Giuda riaffermò la sua indipendenza. Il suo re Giosia non solo combatté con successo contro i suoi vicini e compagni di sofferenza nella desolazione, ma organizzò una grande rinascita religiosa. Gli antichi libri di legge di Mosè erano scomparsi, distrutti forse o portati via come bottino da uno dei conquistatori assiri. Ora, nello sgomberare il tempio dagli accumuli di molte generazioni, fu riscoperta una copia di almeno una parte della Legge. Leggendola, Giosia e il suo popolo si resero conto con orrore di quanto si fossero allontanati dal puro culto dell’unico Dio, Jehovah.
Seguì una completa riforma. I santuari di Ishtar e di altre divinità straniere vennero distrutti; e su questi luoghi del tempio vennero eseguite abominazioni terribili per evitare che fossero considerati di nuovo sacri. Poi i cerimoniali religiosi dedicati a Geova stesso furono molto modificati e semplificati. E quando alla fine tutto fu completato, si tenne una festa di purificazione così solenne che, secondo le parole della Bibbia, “non si è più tenuta una simile Pasqua dai giorni dei giudici che giudicarono Israele, né in tutti i giorni dei re d’Israele, né dei re di Giuda”. La formulazione suggerisce che la Legge deve essere stata persa di vista anche prima dell’era assira, prima di Davide e prima di Saul, forse in quei primi giorni dei Giudici quando i Filistei tenevano in schiavitù “l’arca dell’alleanza”.
Ancora una volta, tuttavia, doveva essere insegnata quella lezione che gli Ebrei rifiutarono così a lungo di imparare, che Dio non offre splendori terreni in pagamento ai suoi seguaci. Il re Giosia si avventurò a combattere contro l’Egitto. L’Assiria era finalmente perita; Babilonia regnava in Oriente e l’Egitto, di nuovo indipendente, era in guerra con lei. Gli egiziani mandarono una parola a Giosia chiedendogli solo di tenersi fuori dalla lotta da entrambe le parti. Ma Giosia sfidò gli egiziani e fu ucciso da loro in una grande battaglia a Megiddo. La sua sconfitta costrinse Giuda a diventare soggetto all’Egitto.

Questa sottomissione portò presto alla caduta del regno ebraico. L’Egitto fu sconfitto dai Babilonesi e le sue città alleate e soggette furono catturate una dopo l’altra, tra cui Gerusalemme. Il monarca babilonese Nabucodonosor prese d’assalto la cittadella ebraica, ne saccheggiò il tempio e portò il suo re Jeconiah e tutti i suoi capi in cattività a Babilonia. Quelli che rimasero in Giuda si ribellarono qualche anno dopo, e Nabucodonosor decise di eliminarli. Uno dei suoi generali invase il paese e assediò la sua capitale per l’ultima volta. Sotto Zedekia, l’ultimo dei suoi antichi re, Gerusalemme resistette a questo assedio finale per tre anni. Poi la carestia la conquistò. I suoi uomini armati furono uccisi in un’ultima disperata sortita. Il suo re fu catturato e ucciso, e i sopravvissuti affamati furono portati via, come le classi superiori lo erano state in precedenza, alla servitù babilonese. La città sacra fu deliberatamente distrutta, cancellata dall’esistenza (586 a.C.).
Solo pochi fuggitivi del paese circostante rimasero a raccogliersi in miseria attorno al sacro santuario della Gerusalemme desolata. Questi erano governati da un governatore approvato da Babilonia. Ma anche questo residuo si ribellò ancora una volta, uccise il loro governatore e poi, impotenti a difendersi, fuggirono in Egitto per essere protetti. Una forza vendicatrice di Babilonia racimolò tra le rovine alcuni poveri e miserabili sopravvissuti e portò anche loro in cattività. Il regno di Giuda svanì; la sua terra era un deserto vuoto. Ma la fede spirituale del suo popolo sopravvisse. La vera missione dei discendenti di Abramo, quel primo storico credente in un solo Dio, non era finita; era appena cominciata.
Questa nuova era sorse per la Giudea e gli ebrei, come l’antica terra e il popolo di Giuda venivano chiamati, quando Babilonia fu a sua volta conquistata da un altro conquistatore. Era il monarca persiano Ciro. Ciro assunse il ruolo di amico e liberatore di tutte le razze che i babilonesi avevano schiacciato. Egli permise quindi ai vari coloni trasportati in tutto l’impero di tornare alle loro case natali, se lo desideravano. Gli ebrei prigionieri approfittarono volentieri di questo privilegio, e in vaste carovane sotto vari capi, Zorobabele, Esdra, Neemia, tornarono in Giudea e ricostruirono Gerusalemme. La loro città, naturalmente, non era affatto la splendida capitale di ricchezza e bellezza che era stata prima. Né pretendeva di nuovo l’indipendenza o alcuna importanza politica. Gli ebrei esiliati a Babilonia erano stati tenuti insieme dai loro sacerdoti e dalla loro religione; ed erano queste potenti forze che li avevano riportati in Giudea. Il loro stato divenne una “teocrazia”, una nazione governata interamente dal suo sacerdozio. Questa fu l’epoca della maggior parte degli scritti religiosi ebraici. La fede del popolo divenne più forte, più pura, più nobile. Si preparava a insegnare le sue dottrine più eccelse a tutta l’umanità.
Politicamente la Giudea rimase in tranquilla sottomissione alla Persia, e poi ai Greci, che, sotto Alessandro Magno, conquistarono la Persia e divisero il suo impero in quattro regni (323 a.C.). La Giudea cadde dapprima nella parte del regno egiziano, ma nel 204 a.C. fu presa e aggiunta al regno siriano dal monarca Antioco III, detto il Grande.
Durante questi secoli gli ebrei, come popolo serio, obbediente e non ribelle, erano in particolare favore dei loro vari sovrani. Divennero numerosi e prosperi. Antioco il Grande usò persino gli ebrei come baluardo contro altri ribelli, inviando colonie di loro nelle regioni in disaccordo, offrendo loro terre, esenzioni dalle tasse e favori simili, per indurli a stabilirsi nel luogo della turbolenza e a frenare i loro vicini. Nessuno sognava gli ebrei come tipi di frenesia e di auto-immolazione – piuttosto erano tipi di saggezza sottomessa e di pace.