Bleeding the past

The Blood Doctor
di Barbara Vine
400pp, Viking, £16.99

C’è qualcosa di spregevole nella genetica dell’emofilia. I malati sono maschi. Le donne portano il gene in silenzio, rendendosi conto della loro eredità solo quando danno alla luce un ragazzo affetto, che non deve necessariamente essere il loro primo figlio. A quel punto potrebbero aver avuto delle figlie, alcune delle quali, a loro volta, trasmetteranno la mutazione ai loro figli.

Barbara Vine costruisce il suo nuovo romanzo intorno a questa fatidica roulette. The Blood Doctor è narrato da Martin Nanther, un biografo il cui ultimo soggetto è il suo bisnonno. Il dottor Henry Nanther era un esperto del 19° secolo in disturbi emorragici. Quando l’ottavo figlio della regina Vittoria, Leopold, fu diagnosticato come “sanguinante” – come venivano chiamati gli emofiliaci in tempi meno illuminati – Henry fu nominato medico della casa reale. Mentre Martin indaga sulla vita del suo illustre antenato, si imbatte nell’emofilia nel suo stesso contorto albero genealogico. Ripercorrendone la diffusione attraverso le generazioni, trova conferma dei suoi crescenti sospetti sulla moralità e il carattere del bisnonno.

Chiunque abbia compilato un dettagliato albero genealogico, per non parlare della sovrapposizione di un pedigree genetico, sa che è un lavoro veramente noioso. Vine è un po’ troppo fedele al processo, e anche se il mistero dei bisnonni al centro delle ricerche di Martin tiene desta l’attenzione del lettore per un po’, alla fine la stanchezza si fa sentire. Piuttosto che scioccante, l’epilogo “mostruoso” sembra curiosamente anticlimatico, tale è la mancanza di motivazione per esso nella narrazione.

Fortunatamente, ci sono altri aspetti di The Blood Doctor. Henry, nobilitato dalla regina Vittoria, ha trasmesso il titolo di Lord Nanther lungo la sua linea. Il romanzo è ambientato durante il lungo passaggio in parlamento della legge sulla Camera dei Lord. Come ereditario, Martin rischia il bando. Vine porta in vita i rituali, le procedure e l’atmosfera della Camera Alta in modo vivido. Forse sorprendentemente, si comincia ad apprezzare, persino a condividere, l’orgoglio e l’affetto di Martin per il luogo.

L’emofilia non deve più comportare disabilità e morte precoce, e i recenti progressi riflettono la capacità della medicina moderna di intervenire nel processo riproduttivo. Vine richiama questi temi. Nel corso di The Blood Doctor la seconda moglie di Martin, Jude, sta cercando di avere un bambino. Una serie di aborti spontanei la devasta, pietrifica il matrimonio e alla fine smaschera la fallibilità genetica della coppia. Il ritratto delle speranze ripetutamente deluse di Jude è degno di nota. È superato dalla chiara caratterizzazione di Martin da parte di Vine, i cui sentimenti contrastanti riguardo a un futuro figlio si approfondiscono solo quando a Jude viene offerta la FIVET e la selezione genetica degli embrioni risultanti.

La scienza è incorporata con notevole abilità, e anche se The Blood Doctor non si avvicina mai alla finezza delle opere precedenti di Vine, come A Dark-Adapted Eye, ripaga la perseveranza, non ultimo per la luce che getta sul business di avere bambini.

– Phil Whitaker è un medico generico e medico legale. Il suo terzo romanzo, The Face, è pubblicato da Atlantic

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