I singoli dei Beatles – classifica!
- The Ballad of John and Yoko (1969)
- From Me to You (1963)
- Love Me Do (1962)
- All You Need Is Love (1967)
- Yellow Submarine (1966)
- Can’t Buy Me Love (1964)
- Lady Madonna (1968)
- Hello, Goodbye (1967)
- Please Please Me (1963)
- I Feel Fine (1964)
- 12 Let It Be (1970)
- I Want to Hold Your Hand (1963)
- A Hard Day’s Night (1964)
- Get Back (1969)
- Help! (1965)
- Something/Come Together (1969)
- We Can Work It Out/Day Tripper (1965)
- She Loves You (1963)
- Ticket to Ride (1965)
- Paperback Writer (1966)
- Hey Jude (1968)
- Strawberry Fields Forever/Penny Lane (1967)
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The Ballad of John and Yoko (1969)
John Lennon una volta convocò una riunione dei Beatles per informarli che lui era Gesù: l’incolore Ballad of John and Yoko è quell’egoismo folle e quel complesso da messia trasformato in canzone. Paul McCartney fa del suo meglio per ravvivare con i suoi contributi un pezzo di musica piuttosto scialbo – suonando il basso, il piano e la batteria – ma è una lotta in salita.
From Me to You (1963)
Un passo indietro rispetto ai brividi di Please Please Me, From Me to You era un successo scritto su misura, ed è tentato di dire che si vede. Il lato positivo è che Lennon canta il tutto con una voce molto più rauca e angosciata di quanto la canzone richieda, come se si avvicinasse al sentimento tenero del testo con un distinto roteare degli occhi.
Love Me Do (1962)
E’ difficile immaginare quanto cruda e unica fosse Love Me Do alla fine del 1962, in una classifica dei singoli dominata dallo “yodel” di Frank Ifield e Acker Bilk: lo scrittore Ian MacDonald ha paragonato l’impatto del suo suono secco e nordico britannico a quello del realismo da cucina del cinema e del teatro. Detto questo, i Beatles avrebbero rapidamente superato la semplicità e il fascino modesto della canzone.
All You Need Is Love (1967)
C’è un senso in cui All You Need Is Love è meno interessante come canzone che come artefatto: lo zenit della Summer of Love del sogno hippy catturato, appena prima che si trasformasse in disillusione. Ma c’è un pizzico di sarcasmo di Lennon nel modo in cui pronuncia le parole “è facile”?
Yellow Submarine (1966)
In Gran Bretagna, almeno, i Beatles tendevano a non pubblicare singoli dagli album. Che abbiano infranto la loro regola per l’amabile ma leggera canzone per bambini Yellow Submarine di Revolver – piuttosto che Taxman, Here There and Everywhere o Eleanor Rigby, che fu relegata al lato B – sembra vagamente sconcertante.
Can’t Buy Me Love (1964)
Meno drammatica e infiammabile di She Loves You o I Want to Hold Your Hand, Can’t Buy Me Love fu la chiave per stabilire il fascino intergenerazionale dei Beatles: da un lato aveva un’energia grezza che ricordava lo skiffle, dall’altro, il suo ritmo suggeriva vagamente lo swing, provocando una serie di cover jazz per genitori, non ultima quella di Ella Fitzgerald.
Lady Madonna (1968)
L’atmosfera post-psichedelica del pop fu stabilita dall’atmosfera terrena del debutto della Band Music from Big Pink, estremamente influente. L’omaggio di McCartney a Fats Domino – poi registrato dallo stesso Domino – si adattava allegramente al cambiamento, anche se le chitarre sfocate di George Harrison e Lennon suggerivano qualcosa di leggermente più tumultuoso, in linea con l’umore sempre più inquieto del 1968.
Hello, Goodbye (1967)
Lennon era, a quanto si dice, furioso che I Am the Walrus fosse stata retrocessa al lato B di Hello, Goodbye. Mentre la canzone di McCartney certamente non ha l’energia velenosa o il margine sperimentale di quella di Lennon, ha una potenza tutta sua; come masterclass di songwriting supremamente orecchiabile, funziona perfettamente.
Please Please Me (1963)
Molto più dinamica ed elettrizzante del suo predecessore Love Me Do, l’ispirata dagli Everly Brothers Please Please Me vide i Beatles sfruttare in studio la potenza rauca delle loro performance live. C’è ancora qualcosa di entusiasmante nel richiamo e risposta di “come on, come on” della canzone: suona come se volesse far nascere un nuovo paesaggio pop.
I Feel Fine (1964)
La frizzante I Feel Fine segna una transizione tra l’eccitazione spensierata dei primi singoli dei Beatles e la sperimentazione alimentata dalla droga che verrà: la prima è rappresentata dall’atmosfera della canzone e dal testo pop di base, la seconda dal ronzio di feedback (probabilmente ispirato agli Who) che la apre e dall’intricata figura di chitarra che corre lungo la strofa.
12 Let It Be (1970)
Nel 1970, le classifiche erano cosparse di canzoni che suonavano come un inno, come elegie del mattino dopo degli anni ’60, non ultima Bridge Over Troubled Water di Simon & Garfunkel. Completata durante l’ultima sessione di registrazione dei Beatles, Let It Be si adattava perfettamente: la sua pura bellezza e il suo sentimento rassicurante sono il finale di coda della loro carriera.
I Want to Hold Your Hand (1963)
Ormai i Beatles erano su di giri. Dal suo balbettante riff di chitarra iniziale in poi, c’è qualcosa di veramente audace in I Want to Hold Your Hand, una canzone scritta con la specifica intenzione di far alzare gli Stati Uniti e prendere nota. Il risultato fu così irresistibile, così sensazionale nei suoi improvvisi slanci melodici e nei suoi spostamenti dinamici, che riuscì a cambiare completamente il volto del pop americano.
A Hard Day’s Night (1964)
Salutato dall’accordo di apertura più famoso della storia del rock, concluso da una parte di chitarra di Harrison che inventò essenzialmente i Byrds, A Hard Day’s Night è una gioia che gioca abilmente sulle diverse personalità di Lennon e McCartney. Il primo canta la strofa, protestando burberamente per il lavoro, il secondo si intona con il bridge, cantando della felice domesticità.
Get Back (1969)
Quali che fossero i problemi con le notoriamente fragili sessioni Get Back del 1969, la mancanza di materiale forte non era uno di questi. La canzone che ha dato il titolo alle sessioni era il sogno condannato di McCartney di riportare i Beatles alle loro radici in forma musicale: R&B incisivo e grintoso, lievitato da testi consapevolmente sciocchi. Ha un senso di facilità assolutamente accattivante, in contrasto con le circostanze difficili che lo hanno generato.
Help! (1965)
“Stavo davvero gridando aiuto”, notò Lennon più tardi, evidenziando la chiave della potenza della canzone. Da un lato, suona esuberante, riccamente melodica e densa di armonie, dall’altro, c’è un senso molto reale di disperazione nel testo e nella voce, il primo segno della sopportazione dell’anima di Lennon che avrebbe consumato i suoi primi album da solista.
Something/Come Together (1969)
Harrison ottiene finalmente una canzone su un singolo, anche se un doppio lato A: la dice lunga sulla qualità e l’eleganza di Something che supera persino Come Together, il maggior contributo di Lennon ad Abbey Road. Gli altri Beatles erano d’accordo: per avere la prova dell’attenzione che vi dedicarono, ascoltate lo straordinario suono del basso di McCartney.
We Can Work It Out/Day Tripper (1965)
A parte il suo riff coinvolgente, c’è qualcosa di snob in Day Tripper: il suono di un iniziato all’acido che sogghigna a qualcuno che non è abbastanza alla moda da aver acceso, sintonizzato e abbandonato. We Can Work It Out, però, è magica: le sue ripetizioni esasperate sono una rappresentazione molto realistica di un litigio domestico; il suo arrangiamento meravigliosamente sottile; la sua melodia perfetta.
She Loves You (1963)
In questi giorni, la musica dei Beatles pre-pot tende ad essere ingiustamente trascurata: un preludio urlante alla vera azione. Questo non ha senso: secondo qualsiasi standard, She Loves You è un disco favoloso. Urgente ed esplosivo, pieno zeppo di ganci e colpi di scena idiosincratici, i suoi due minuti e mezzo sembrano passare in un batter d’occhio.
Ticket to Ride (1965)
Gli storici dei Beatles discutono se Ticket to Ride sia stata la prima risposta musicale della band all’LSD, ma qualunque sia l’impeto, è un singolo spettacolare. La sua batteria martellante, le chitarre dronanti, i testi auto-esaminativi e lo stato d’animo di languore drogato indicavano il modo in cui il pop sarebbe cambiato nei 18 mesi successivi.
Paperback Writer (1966)
La sua satira dell’ambizione spinta della Swinging London è molto McCartney-esque – gentile e affettuosa, piuttosto che pungente – ma Paperback Writer può essere il più direttamente eccitante dei singoli dei Beatles della metà degli anni ’60: un’esplosione supremamente stretta di riff di chitarra distorta, armonie in falsetto e sottili trucchi da studio. Sull’altro lato: la psicologia contemporaneamente tonante e sognante di Rain di Lennon, forse il miglior lato B dei Beatles di tutti.
Hey Jude (1968)
Philip Larkin una volta disse che a metà degli anni ’60 la sperimentazione dei Beatles “ha perso i dattilografi nella Caverna”. Con tutto il rispetto per il vecchio miserabile, questa è una sciocchezza. Nonostante la sua lunghezza da confine, Hey Jude è pervasivo come qualsiasi cosa abbiano registrato. C’è qualcosa di universale nel suo gentile, esortante ottimismo; qualcosa nella sua coda “all-together-now” che ti sfida a non unirti a loro.
Strawberry Fields Forever/Penny Lane (1967)
L’addetto stampa dei Beatles, Derek Taylor, notò ironicamente che, quando la band prese l’LSD, “era un caso di quattro scousers che esploravano lo spazio interiore e trovavano sempre più scousers là sotto”. Certamente, l’acido fu responsabile della più acuta e straordinaria esplosione di sentimentalismo “in-my-Liverpool-home” della storia. L’evocazione di Lennon della sua infanzia era inquietante, ambigua, mutevole: il valore di un album di idee condensato in quattro sorprendenti minuti. Quella di McCartney sembrava innocente e gioiosa – il suo stato d’animo è incarnato dall’estatico assolo di tromba – ma Penny Lane era altrettanto allucinante. “Anche se si sente come se fosse in una commedia”, cantava, “lo è comunque”: in altre parole, niente è reale. È una scelta ovvia per il loro più grande singolo, ma Strawberry Fields Forever e Penny Lane hanno tutto. Canzoni perfette, invenzione e audacia incredibili, arguzia e calore: i Beatles in un guscio di noce psichedelico.
– Questa lista non include EP, singoli postumi o uscite di reunion
Il cofanetto di quattro CD Abbey Road (50° Anniversario) Super Deluxe esce il 27 settembre. Le versioni a disco singolo e duesono disponibili anche le versioni a due dischi
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