Il lato oscuro della terapia di chelazione Al(III): Una nuova speranza computazionale
Autore: Gabriele Dalla Torre è uno studente di dottorato (ITN-EJD-TCCM) presso UPV/EHU
L’alluminio è il terzo elemento più abbondante nella crosta terrestre, dopo ossigeno e silicio. Di conseguenza, durante l’ultimo secolo, l’intervento umano ha reso l’alluminio così altamente biodisponibile che C. Exley, uno dei principali ricercatori sulla biochimica dell’Al(III), ha dichiarato che stiamo vivendo nell'”Età dell’Alluminio “1
Tuttavia, nonostante la sua abbondanza naturale, le proprietà chimiche dell’Al(III) hanno impedito la sua presenza nel ciclo biologico degli organismi viventi; inoltre, ci sono sempre più prove che l’alluminio potrebbe essere alla base di una varietà di effetti tossici nei sistemi biologici, con rischi significativi per la salute umana.
Infatti, Al(III) ha dimostrato di competere efficacemente con Mg(II) e inibire le attività enzimatiche dipendenti da Mg(II), interferendo con l’utilizzo di ATP. Interferisce anche con le attività enzimatiche e la secrezione di neurotrasmettitori. Al(III) promuove l’iperfosforilazione dei normali neurofilamenti, e quindi promuove la degenerazione neurofibrillare. Interagisce con i β-amiloidi, contribuendo alla formazione di oligomeri amiloidi e poi di aggregati proteici insolubili. Questi ultimi processi indicano che lo ione metallico è neurotossico, ed è stato associato a malattie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer 2
In questo contesto piuttosto controverso, l’obiettivo della terapia chelante è la rimozione dello ione metallico tossico dal corpo umano o l’attenuazione della sua tossicità trasformandolo in composti meno tossici.
Questa situazione ha portato diversi gruppi a concentrare l’attenzione e a fare sforzi verso l’identificazione di agenti chelanti specifici per l’alluminio. Le principali sfide in questo senso derivano dal fatto che tutti i chelanti sviluppati finora non mostrano specificità solo per l’alluminio, ma anche per altri cationi biologicamente fondamentali, come Mg(II), Zn(II) e, soprattutto, Fe(III). Questa situazione porta chiaramente a un grado di tossicità per questi agenti chelanti, che dipende dalla loro affinità verso i metalli, condizione sottolineata dall’uso medico dell’EDTA (acido etilendiamminotetraacetico), uno dei più potenti chelanti metallici3
Inoltre, a causa delle proprietà specifiche dello ione, i sistemi contenenti alluminio sono sperimentalmente complessi da studiare, e mancano ancora informazioni complete sulle caratteristiche del legame Al(III)-ligando o sull’effetto dei diversi sostituenti nella modulazione dell’affinità di legame.
Riflettendo su queste prospettive oscure, ci chiedevamo:
Come possiamo identificare una nuova strategia adatta a sconfiggere il lato oscuro della terapia chelante dell’Al(III) e fornire così un futuro più luminoso all’umanità?
Abbiamo sentito la Forza, e abbiamo avuto la risposta: è la chimica computazionale!
In effetti, negli ultimi due decenni, i miglioramenti hardware e tecnologici hanno raggiunto un livello tale da cambiare le prospettive delle scienze teoriche, permettendo simulazioni in silico molto accurate e affidabili nei campi della biologia, della fisica e della chimica. Questo è particolarmente vero per quei metodi teorici basati sulla chimica quantistica (come quelli semiempirici, ab initio e la Teoria Funzionale della Densità); oggi è possibile eseguire abitualmente calcoli quantistici a livelli medio/alti di teoria con un tempo di calcolo accettabile, aumentando enormemente la qualità dei risultati e, di conseguenza, fornendo intuizioni molto preziose che non sempre possono essere dedotte sperimentalmente.
Secondo queste stimolanti opportunità, abbiamo deciso di studiare, per mezzo di calcoli DFT allo stato dell’arte e analisi della Teoria Quantistica degli Atomi nelle Molecole di Bader, due famiglie di agenti chelanti (catecoli e acidi salicilici con diversi sostituenti, Fig.1 e Fig.2) che sono ben noti per mostrare alta affinità verso Al(III)4
L’obiettivo era quello di impostare un approccio teorico che si adatta bene con i dati sperimentali disponibili, e poi di applicarlo contro promettenti chelanti metallici, al fine di caratterizzare la natura della loro interazione con Al(III) e di svelare l’effetto di diversi sostituenti verso la modulazione dell’affinità di legame.
In particolare, la Teoria Quantistica degli Atomi in Molecole (QTAIM) di Bader calcola le proprietà di un sistema data la sua funzione d’onda; può essere usata per predire la natura delle interazioni che nascono nel sistema, cioè se sono ioniche/elettrostatiche o covalenti. Nel nostro caso, eravamo interessati alla natura delle interazioni Al-O (Fig.1).
I risultati che abbiamo ottenuto dall’analisi QTIAM sono stati sorprendenti: anche se ci aspettavamo forti interazioni ioniche tra l’alluminio e i ligandi, dovute al fatto che Al(III) è un catione con carica più tre, abbiamo trovato che c’è un piccolo grado di covalenza in queste interazioni, presente in entrambe le famiglie di chelanti.
Inoltre, e più interessante, abbiamo trovato che questo grado di covalenza è modulato dall’effetto opposto dei sostituenti; infatti, i gruppi donatori di elettroni (EDG), come CH3 e OCH3, sono stati trovati per aumentare questo grado di covalenza, mentre i gruppi di ritiro di elettroni (EWG), come NO2, sono stati trovati per diminuire il carattere covalente delle interazioni.
Questi risultati sono stati confermati dall’analisi degli indici di delocalizzazione (D.I., Fig.2), che misurano il numero medio di coppie di elettroni delocalizzati (condivisi) tra due atomi.
Quando gli Indici di Delocalizzazione Al-O sono confrontati con le nostre energie di legame DFT (ΔG) calcolate in precedenza, possiamo vedere che c’è una chiara correlazione lineare tra le due quantità (Fig2): Gli EDGs aumentano gli indici di delocalizzazione del complesso e, allo stesso modo, aumentano l’affinità di legame del sistema alluminio-chelatore. Al contrario, gli EWG diminuiscono sia gli indici di delocalizzazione che l’affinità di legame del complesso.
Possiamo interpretare questi interessanti risultati come segue: I gruppi donatori di elettroni, “spingendo” gli elettroni attraverso l’anello aromatico, aumentano il carattere covalente dell’interazione Al-O, che si traduce in una maggiore affinità di legame. D’altra parte, i gruppi che sottraggono elettroni, “catturando” elettroni dall’anello aromatico delle molecole, diminuiscono il carattere covalente dell’interazione Al-O, portando a minori affinità di legame.
In conclusione, il nostro lavoro ci ha permesso di caratterizzare la natura dell’interazione Al-ligando e il ruolo dei diversi sostituenti sulla modulazione dell’affinità di legame. Questo è un chiaro esempio di come gli approcci computazionali allo stato dell’arte permettano di ottenere preziose intuizioni che possono aumentare la conoscenza in quei punti oscuri in cui le procedure sperimentali falliscono.
Oggi, il nostro protocollo teorico convalidato sta per essere applicato ad altri importanti agenti chelanti Al(III), come EDTA e HPCs (Fig.1).
Sentiamo che saremo in grado di fornire un forte aiuto verso l’identificazione e la messa a punto di nuovi, potenti chelanti Al(III) che sconfiggerebbero una volta per tutte la tirannia dell’alluminio.